L’Eroe
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L’Eroe, il film diretto da Cristiano Anania, racconta la storia di Giorgio (Salvatore Esposito), un mediocre ma ambizioso giornalista trentenne. La sua vita cambia bruscamente quando il direttore del giornale decide di trasferirlo in una redazione di provincia. Proprio quando crede di aver trovato la sua nuova dimensione di vita, il direttore del giornale annuncia a Giorgio il suo licenziamento. Solo lo scioccante rapimento per mano di ignoti del nipote della più importante imprenditrice locale restituisce a Giorgio il suo lavoro di corrispondente. L’intero paese si mobilita alla ricerca del “mostro”.
IL REGISTA
Cristiano Anania nasce a Roma nel 1985. Dottore magistrale in Musica e Spettacolo, presso l’Università di Roma Tor Vergata. Ha collaborato come assistente con affermati registi come Avati, Tognazzi, Cascella e Zangardi. Ha all’attivo diversi cortometraggi, tra cui Languore, presentato fuori concorso alla 61a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Con il suo Pollicino è stato selezionato in oltre 150 festival nazionali ed internazionali collezionando circa 60 riconoscimenti, tra i quali il primo premio nel prestigioso Queens Film Festival di New York e nello Scottish Film Festival di Edinburgo. Pollicino è stato inoltre candidato nella terzina finalista del Globo d’oro 2012 (il premio della Stampa Estera al Cinema Italiano) come miglior cortometraggio italiano ed al premio Cinemaster dei Nastri D’Argento l’anno successivo. Per il suo lavoro Buon San Valentino si è avvalso della collaborazione di importanti interpreti come Giorgio Colangeli ed Alessandro Borghi. Ha all’attivo numerosi spot. Da alcuni anni ha fondato una distribuzione cinematografica, Associak, impegnata nella circuitazione festivaliera delle opere di cortometraggio.
NOTE DI REGIA
L’idea del film nasce dalla necessità di raccontare una storia, allo stesso tempo realistica e metaforica, che tratti del rapporto sempre più malato e perverso generato dalla costante ricerca di informazione nella società contemporanea. Questo crescente ed inarrestabile meccanismo di “alimentazione” onnivora degli eventi ha generato una reale esplosione della domanda alla quale il mercato ha dovuto sopperire ampliando considerevolmente la propria offerta per soddisfare ogni tipo di richiesta. Oggi le notizie sono ovunque intorno a noi, e poco importa che esse siano attendibili, verificate o veritiere, l’importante è cibarsi dell’avvenimento per placare la dipendenza. In questo contesto di perpetuo vouyerismo crescono figure torbide e sfuggenti come quella di Giorgio, un subdolo inventore di favole pronto a sacrificare la Moralità pur di raccontare “storie”, sacrificando la vita altrui senza scupoli pur di raggiungere un pezzo di agognata celebrità. Il protagonista della narrazione è esso stesso “notizia” e come tale per sopravvivere ha bisogno di espandersi nel tempo inglobando ogni cosa al suo passaggio.
Ciò che si intendeva raccontare non è tanto il puzzle della scoperta, quanto il labirinto di reazioni ed emozioni generate in un ambiente chiuso da un improvviso cataclisma. Un sentimento di paura che mette in dubbio la più basilare verità. Le certezze che si sgretolano dinanzi ai colpi di scoop dei media arrembanti. Che cosa è la verità? Spesso un’induzione mediatica artefatta. Una costruzione plausibilmente conveniente che tende a creare una conclusione logica senza porsi domande. La volontà è quella di indagare l’effetto che la mancanza mediatica di scrupoli può generare in un individuo costretto a tutto per la propria sopravvivenza.
Cosa succede quando il grande circo mediatico addita qualcuno come colpevole? Il mostro viene sbattuto con infamia in prima pagina, indagando con colpevolezza lo stile di una esistenza da rinnegare. L’opinione pubblica ha per istinto innato il bisogno di creare mostri ed eroi. I “mostri” ci rassicurano sul nostro essere persone migliori. Gli eroi, invece, servono a ristabilire l’equilibrio nella morale scalfita, affinchè tutto torni alla “normalità”.
Si è scelto di ambientare la storia in un piccolo ed indefinito paese di provincia per evidenziare come gli effetti di una bugia possano deflagrare ancor meglio in un contesto di totale conoscenza. Diceva Swift: “La menzogna fa il giro del mondo nel tempo in cui la verità si allaccia le scarpe”. Per raccontare un cambiamento lo si deve necessariamente seguire da vicino, pedinandolo alle spalle. Ed è proprio questa l’idea di regia che sta alla base della sceneggiatura. Uno stile quasi documentaristico, improntato alla costante ricerca del personaggio, con una macchina il più possibile sensibile al più minuto respiro. Un “origliare” invisibile che cerca di far emergere in modo nitido il narcisismo nascosto dietro la “fabbricazione” della notizia. Un racconto non solo del reale, ma anche nel reale, scoprendo la dimensione intima e profondamente umana della realtà. Che cosa si è disposti a sacrificare per la celebrità del racconto? Forse tutto, forse niente, se il punto di partenza è proprio quel niente magnificamente celato.